a voler dire ancora questa è casa
dovrei ritrovare il mio cartone
le prospettive, gli angoli, il colore
e ricordare quanta libertà
di non avere niente
quanta povertà
ho amato nei miei giorni.
(fotografie ed elaborazioni di luciana riommi)
a voler dire ancora questa è casa
dovrei ritrovare il mio cartone
le prospettive, gli angoli, il colore
e ricordare quanta libertà
di non avere niente
quanta povertà
ho amato nei miei giorni.
(fotografie ed elaborazioni di luciana riommi)
non ricordo la prima pietra ma quella che poi fu chiave di volta di questa cattedrale costruita sull'argilla e quel sussulto che l'ha buttata giù.
e poi ti accorgi che c'è solo lei che ti cammina a fianco, com'è la solitudine con la sua fedeltà.
2 dicembre 2018
accomodarsi a lato di una sedia
dove ripiega il fumo
e si solleva polvere dal tempo
invecchiata, la polvere, come ogni cosa qui,
sai, come invecchia il tempo.
un po’ mi fa sorridere la scena,
quella tristezza, in fondo quel morire.
tecnicamente si tratterebbe di parole legate al filo di una vecchia geometria nel rispetto delle convenzioni. è l'eleganza della mise en place, l'arte di apparecchiare le finzioni.
no, non rifarei quello che ho fatto della vita, mi rispondo, e forse sbaglio, sollecitata a immaginare un impossibile ritorno. una sola cosa faccio ancora, e spesso sbaglio, interrogarmi, nonostante.
le passo al setaccio, le emozioni, per isolare impurità che intralciano i pensieri – salto le imprecazioni taccio su sentimenti e desideri dove non si distingue tra fremiti e dolori. tutto scorre, dice, tutto passa, ma quasi tutto passa appena un po' più in là – a fare muffa, in quest'immaginario che non svecchia mai.
ripescata dal 22 settembre 2019 facciamo finta che si possa dialogare senza interlocutore io farò finta di capire il nulla il suo rumore.
se ti dicessi che assomiglio al mare non ridere di ciò che non conosci di correnti, onde, e respirare. un salto in verticale dalle acque più profonde e poi di nuovo inabissare affanni le offese quotidiane. a decomporle sul fondale mi soccorrono il silenzio, il buio, il sale.
«Nasciamo senza saper parlare e moriamo senza aver saputo dire. La nostra vita trascorre fra il silenzio di chi tace e il silenzio di chi non è stato compreso, e intorno a tutto ciò, come un’ape in un luogo senza fiori, aleggia sconosciuto un inutile destino.» [F. Pessoa, Pagine esoteriche, Adelphi] quando ti accorgi che parole senza suono non formano pensieri e si stanca pure l'anima all'ascolto, ti pare inappropriato chiamare solitudine quello che non c'è. ma so che si fanno ancora mostre collettive di solitudini da collezione.
anche così finisce un'epoca, senza nessun clamore e neanche un avviso di chiamata. d'altronde, erano gli anni che non c'ero.
delusione, a parte l'etimo, non rende il lutto per la perdita più grave : la fiducia di poter giocare.
mi hanno smagrito gli anni, e queste braccia ormai fanno impressione tra pieghe di dolori accantonati e l'assedio sottopelle di parole per non dire che è già passato il tempo di cominciare a dirsela, la fine. ci vuole anche coraggio per guardare, guardarsi l'anima, quando non è omissione. sai, basta un'assenza di pensiero e solitudine diventa carestia.
rivoglio indietro il silenzio che mi è stato trafugato, l'anonimato che mi contraddistingue. non chiamatemi per nome non rispondo.
«... le somiglianze e i segni hanno sciolto la loro antica intesa; le similitudini deludono, inclinano alla visione e al delirio; [...] le parole vagano all’avventura, prive di contenuto, prive di somiglianza che le riempia; non contrassegnano più le cose; dormono tra le pagine dei libri in mezzo alla polvere...» (M. Foucault, Le parole e le cose) ° come lo schianto di una porta in faccia a chi rimane fuori. espulso dai pensieri rimosso via dal tempo lungo il non tempo delle allucinazioni.
[dimenticata e casualmente ripescata...] cancello l’inutile dal tempo – la nostalgia, l’attesa, sempre, mai – di me resta l’istante : punto d’arrivo di un inizio senza storia. perché rimane un senso di durata?
presunzione o desiderio pensare fosse complice alla mia senza uno spazio-tempo senza una casa per la nostalgia.
è così facile da non poterlo dire nessuno capirebbe.
c'è un punto preciso dove l'eco non rimanda repliche del nome. cadono i mesi, gli anni e la memoria, ma era identità.
su, usciamo, ché adesso è più facile il parcheggio – ho il contrassegno d'invalidità – e poi, appoggiata al bastone da passeggio si nota meno se a camminare sbando. e dunque faccio finta – magari l'avessi fatto già da anni – perché ormai è noia non l'idea di una morte prossima ventura – da lì nessuno sfugge – è noia parlare di ospedali di cure, di controlli come se questo fosse chiedere di me.
tutto sommato è un bel vantaggio non avere un'anima a cui badare con tutto quello che il corpo già ti dà da fare. lo pensavo massaggiandomi una spalla con il gel.
Dedicato a coloro che rivendicano con infantile compiacimento
il "privilegio" di essere affetti da questo tipo di compulsione
(la chiamano "dannazione" ma intendono "benedizione").
Non sanno che ciò che sentono obbligatorio è dettato
dall'inconscio e che l'inconscio non è Dio.
«L'incessante esigenza di godere e gustare sempre qualcosa di
affatto nuovo mi sembra, tutto sommato, denotare meschinità,
carenza di vita interiore, alienazione dalla natura e mediocre
o scarsa capacità di intelligenza. È ai bambini che bisogna
mostrare di continuo qualcosa di nuovo e di diverso, se si
vuol farli contenti»
R. Walser, La passeggiata (Adelphi, 1976)